A cura della Rete Italiana di Cultura Popolare
"Torino cambia pelle" è un percorso ed un racconto narrativo, didattico ed emozionale che attraversa la Torino devastata dai bombardamenti, ma finalmente libera dall'occupazione tedesca, e la Torino di oggi attraverso lo strumento multimediale della Web App. E' una guida culturale su e di un territorio, è una mappa digitale, è un percorso di presa di coscienza e consapevolezza a partire dalla memoria storica per dialogare con il presente, reinventandolo. Il progetto prende avvio da una storia orale dedicata che ha a che fare più con la poesia, la letteratura, la sfera emotiva che con l’interpretazione storica pur mantenendo salda la struttura scientifica. Lungo il tragitto, grazie alla Web App sarà possibile focalizzare i punti d'interesse del percorso, le immagini, gli approfondimenti, i suoni, le testimonianze, i video accompagnati dalla narrazione.
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E' la data che segna l'effettiva liberazione di Torino. Intorno all'una e quaranta del mattino, sotto una pioggia battente, una colonna di circa tremila uomini, formata da autorità e militi dell'ormai sconfitta Repubblica sociale, lasciò la città, preceduta da alcune centinaia di tedeschi. Poche ore dopo avvenne l'insediamento delle nuove autorità. Le vie del centro si erano riempite di tricolori, ma il fuoco dei cecchini ancora in attività e le devastazioni dei recenti bombardamenti ricordavano a tutti che il ritorno alla normalità avrebbe richiesto molto tempo.
TESTI
- Nicola Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, FrancoAngeli, 2014;
- Gigi Padovani, La liberazione di Torino, Milano, Sperling & Kupfer, 1979.
La data rimarrà per sempre legata ad una delle più gravi tragedie sportive della storia . Quel giorno, pochi minuti dopo le 17, l'aereo del Grande Torino, di ritorno da un'amichevole giocata a Lisbona contro il Benfica, si schiantò contro il muraglione posteriore della Basilica di Superga. Nessuno dei 31 passeggeri si salvò: oltre ai giocatori morirono anche dirigenti, tecnici e giornalisti. La squadra, che con le sue vittorie aveva contribuito alla rinascita postbellica dell'Italia, è considerata una delle più forti del mondo. Il giorno dei funerali cinquecentomila persone diedero l'ultimo saluto ai loro Campioni.
TESTI
- Francesco Campanella, Gian Paolo Ormezzano, Giorgio Tosatti, Il Grande Torino, Lavis (TN), Reverdito Edizioni, 1999.
La data, una delle più drammatiche della storia del nostro paese, è quella in cui il maresciallo Pietro Badoglio annunciò l'armistizio firmato il 3 settembre a Cassibile, in Sicilia, fra il governo italiano e gli angloamericani. La successiva fuga da Roma del re, del governo e dei vertici militari, i quali lasciarono senza direttive precise le nostre forze armate, portò alla dissoluzione dell'esercito e all'occupazione tedesca di gran parte della penisola.
TESTI
- Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, Bologna, il Mulino, 2003.
Casalinga. Nata in provincia di Siena nel 1887, fu colpita mortalmente l'11 settembre 1943 da pattuglie tedesche durante la sanguinosa sparatoria contro la popolazione che aveva invaso l'Opificio Militare. E' l'unica vittima, tra le numerose che si ebbero in quella circostanza, ricordata da una lapide.
TESTI
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, p. 38 (n. 1).
TI INTERNET
Il complesso, nel quale avevano sede la direzione, alcuni uffici e le rimesse dell'ATM, fu costruito tra il 1897 e il 1899. Venne ampliato nel 1909 e nel 1923. Gravemente danneggiato dal bombardamento del 13 luglio 1943, fu in gran parte demolito nel dopoguerra.
TESTI
- Bruno Gambarotta, Sandro Ortona, Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (a cura di), Torino. Il grande libro della Città, Torino, Edizioni del Capricorno, 2004, pp. 312-316
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "tramvie", scheda n. 1).
Edificio realizzato nel 1908 in un misurato stile Liberty. Fu lievemente danneggiato dai bombardamenti del 13 luglio e dell'8 agosto 1943. Ha conservato la sua struttura originaria e la sua funzione. Il Comune di Torino ne è tuttora proprietario.I bagni pubblici nacquero per fornire servizi di utilità pubblica in seguito al forte incremento dell'edilizia popolare. Molte case popolari, infatti, agli inizi del Novecento erano dotate di servizi igienici, spesso esterni, ma non disponevano di docce o di vasche da bagno. Proprio per far fronte a questa carenza furono costruiti bagni e lavatoi pubblici in diverse zone della città. I clienti, nettamente separati per sesso, pagavano un biglietto dal costo modesto.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "bagni", scheda n. 6).
La maestosa basilica, che si erge a 672 metri d'altezza sul colle omonimo, fu voluta dal re Vittorio Amedeo II (1666-1732) come ringraziamento alla Madonna per la vittoria del 7 settembre 1706 sui francesi. Venne costruita a partire dal 1717 su progetto dell'architetto Filippo Juvarra (1678-1736). Per lo spianamento preventivo del terreno occorsero due anni (la collina venne abbassata di 40 metri), mentre il materiale da costruzione fu trasportato in gran parte a dorso di mulo. La solenne inaugurazione avvenne nel 1731. L'edificio, alto 75 metri, è uno dei massimi capolavori dell'architettura barocca.
TESTI
- Riccardo Gervasio, Storia aneddotica descrittiva di Torino, vol. 2 (Soste obbligate, col naso all'insù), Torino, Le Bouquiniste, 1967, pp. 153-162.
Fu combattuta il 26 gennaio 1887 presso l'omonima località eritrea, distante circa 20 km da Massaua. Quel giorno una colonna di 548 uomini al comando del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis venne intercettata e annientata da circa 7000 abissini guidati da ras Alula. Il tragico episodio, in cui trovarono la morte circa 430 soldati italiani, si inserisce nella campagna di conquista italiana dell'Eritrea.
TESTI
- Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell'espansione coloniale italiana, Bologna, il Mulino, 2007.
Nato a Torino nel 1913, dopo aver frequentato il Liceo classico Massimo d'Azeglio si iscrisse all'università, laureandosi in Economia e Commercio e, successivamente, in Scienze Politiche. Nei primi anni Quaranta fu dirigente di un'azienda metalmeccanica impegnata nelle produzioni di guerra e subito dopo la fine del conflitto creò un'impresa propria. Fu membro del Consiglio direttivo dell'Amma e socio benemerito del Comitato Italia 61. Morì nel 1974. Il suo nome è legato al diario scritto tra il 1942 e il 1945, considerato la maggior fonte di memoria sulla guerra a Torino, una testimonianza unica per estensione e ricchezza.
TESTI
- Riccardo Marchis (a cura di), Carlo Chevallard. Diario 1942-1945. Cronache del tempo di guerra, Torino, Blu Edizioni, 2005.
Edificio costruito tra il 1887 e il 1888 in stile eclettico. Originariamente la caserma si chiamava Dogali, in ricordo della battaglia combattuta il 26 gennaio 1887. Inizialmente ospitò un reggimento di fanteria e dal 1921, quando fu intitolata al generale Alessandro La Marmora (1799-1855), fondatore del Corpo dei Bersaglieri (1836), il IV Reggimento Bersaglieri ciclisti. Dopo l'8 settembre 1943 divenne sede dell'Ufficio Politico Investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana, creato per reprimere con ogni mezzo la lotta clandestina. La caserma si trasformò così in luogo di detenzione e di tortura per tutti coloro che erano sospettati di appartenere alla Resistenza. Attaccata dai partigiani sin dal pomeriggio del 26 aprile 1945, venne abbandonata poco prima della mezzanotte del giorno successivo.
TESTI
- Città di Torino, Istituto piemontese per la storia della resistenza e della società contemporanea, Torino 1938/45. Una guida per la memoria, Torino, Blu Edizioni 2010, p. 79 (scheda n. 3) e pp. 84, 85;
- Bruno Segre, Quelli di via Asti. Memorie di un detenuto nelle carceri fasciste nell'anno Millenovecentoquarantaquattro, Torino, Edizioni SEB27, 2013.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "dogali", scheda n. 1).
La Caserma Centrale di strada Santa Barbara (attuale corso Regina Margherita) fu realizzata tra il 1882 e il 1883. Elettrificata nel 1893, venne ampliata tra il 1914 e il 1915. Fu per 101 anni la sede principale dei pompieri di Torino. Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco venne istituito nel 1939 e posto alle dirette dipendenze del Ministero dell'Interno. Di esso facevano parte tanti Corpi quante erano le province del Regno. A ciascun Corpo, contraddistinto da un numero, fu assegnato un Labaro con un motto. Quello di Torino ebbe il numero 83 e come proprio motto: "Virtus et Abstinentia" ("Virtù e Moderazione").
TESTI
- Guida Commerciale ed Amministrativa di Torino 1942-1943, Torino, Paravia, 1942, p. 446.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "pompieri", scheda n. 1).
L'attuale Casa Hollywood fu realizzata tra il 2010 e il 2013 sul sito occupato fino al 2008 dal Cine Teatro Hollywood. Questo cinema aveva a sua volta preso il posto del glorioso Teatro Torinese, costruito nel 1891 e gravemente danneggiato dal bombardamento del 13 luglio 1943. Su via Fiochetto si può ancora vedere la facciata tardo ottocentesca.
TESTI
- Maria Grazia Imarisio, Diego Surace, Marica Marcellino, Una città al cinema. Cent'anni di sale cinematografiche a Torino (1895-1995), Rivoli, Neos Edizioni, 1996, pp. 181,182.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "hollywood", scheda n. 1).
Già Salone Margherita, iniziò l'attività nel 1905. Nel 1939 diventò Cinema Teatro San Carlo, nel 1950 Mignon e, dopo il 1955, Alcione. Nel 1979 si trasformò in sala a luci rosse. Chiuse nel 1983 per "l'effetto Statuto".
TESTI
- Maria Grazia Imarisio, Diego Surace, Marica Marcellino, Una città al cinema. Cent'anni di sale cinematografiche a Torino (1895-1995), Rivoli, Neos Edizioni, 1996, pp. 165, 166.
Tranviere. Nato in provincia di Vercelli nel 1899, venne colpito dai fascisti durante l'insurrezione di Torino, il 27 aprile 1945, intorno alle 14.20, mentre si trovava di servizio, in qualità di sappista, davanti all'ATM.
TESTI
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, p. 145 (n. 169).
Nato a Oneglia (oggi Imperia) nel 1846, intraprese giovanissimo la carriera militare, partecipando alla terza guerra d'indipendenza. Da questa sua prima esperienza ebbe origine il volume La vita militare (1868). In seguito al successo del libro, nel 1871 lasciò l'esercito per dedicarsi al giornalismo, scrivendo articoli di viaggio dove descrisse le nazioni da lui visitate. Nel 1886 pubblicò Cuore, il libro che lo rese famoso in tutto il mondo. Morì a Bordighera nel 1908. Tra le sue numerose opere meritano una citazione Gli Azzurri e i Rossi (1897), romanzo dedicato al gioco del pallone elastico e La carrozza di tutti (1899), una sorta di diario torinese di vita e costume, scritto durante un anno di spostamenti sugli omnibus cittadini.
TESTI
Lorenzo Gigli, Edmondo De Amicis, Torino, Utet, 1962.
Nato a Verona nel 1863, iniziò sin da giovane a collaborare con vari giornali sui quali pubblicò i suoi primi racconti di viaggi e di avventure, che ottennero un certo successo. Decise così di dedicarsi completamente alla carriera di scrittore, trasferendosi a Torino. Salgari è autore di oltre duecento opere, distinte in vari cicli avventurosi, molte delle quali furono tra le più vendute nella storia dell'editoria italiana. La frenetica attività a cui venne costretto gli provocò però gravi problemi di salute che, uniti alle difficoltà economiche e alla drammatica situazione familiare (la moglie fu ricoverata in manicomio), nel 1911 lo indussero a suicidarsi. Tra i tanti personaggi creati dalla sua penna, alcuni come Sandokan e il Corsaro Nero sono diventati leggendari.
TESTI
Claudio Gallo, Giuseppe Bonomi, Emilio Salgari. La macchina dei sogni, Milano, Rizzoli, 2011.
Società fondata a Torino nel 1899 da alcuni industriali, tra cui Giovanni Agnelli (1866-1945). Inglobando al suo interno tutte le lavorazioni e introducendo, tra le prime in Europa, il montaggio in serie crebbe rapidamente. Sviluppò ulteriormente la sua capacità produttiva nel corso del primo conflitto mondiale. Negli anni tra le due guerre diventò il primo gruppo industriale privato italiano, realizzando veicoli di grande successo come la Balilla e la Topolino. L'introduzione di utilitarie popolari (Cinquecento e Seicento) a ridosso degli anni del "miracolo economico" determinò una massiccia immigrazione di manodopera dal Sud. Nel 2014, dopo l'acquisizione della Chysler, si è trasformata in FCA, oggi uno dei più grandi gruppi automobilistici mondiali.
TESTI
Valerio Castronovo, FIAT. Una storia del capitalismo italiano, Milano, Rizzoli, 2005.
Nato nel 1678 a Messina, si formò a Roma, dove entrò nella bottega del celebre architetto Carlo Fontana. Nel 1714, a Palermo, avvenne l'incontro con Vittorio Amedeo II (1666-1732), incoronato re di Sicilia l'anno precedente. Il sovrano sabaudo, riconosciute le grandi capacità di Juvarra, lo nominò primo architetto di corte e lo chiamò a Torino, dove sarebbe rimasto sino al 1735. In quel ventennio Juvarra ridefinì l'immagine della città e del territorio circostante, realizzando opere straordinarie come la Basilica di Superga (1717-31), la facciata e lo scalone di Palazzo Madama (1718-21), la Palazzina di Caccia di Stupinigi (1729-33). Morì a Madrid nel 1736.
TESTI
- Bruno Gambarotta, Sandro Ortona, Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (a cura di), Torino. Il grande libro della Città, Torino, Edizioni del Capricorno, 2004, pp. 740, 741.
- Andreina Griseri, Giovanni Romano (a cura di), Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, Torino, Cassa di Risparmio di Torino, 1989.
Nato a Torino nel 1911, partecipò al secondo conflitto mondiale col grado di capitano dell'Esercito. Nel giugno del 1944 entrò nel corpo dei Vigili del fuoco, svolgendo il suo servizio presso il distaccamento collinare "Alberto Picco". Partigiano nella divisione Matteotti "Italo Rossi", il 27 aprile 1945 accorse dal distaccamento con altri colleghi per dar manforte ai sappisti impegnati sin dalle prime ore del mattino nell'attacco alla caserma di via Asti. Verso le 14 fu colpito e ucciso da una granata lanciata dai militi fascisti mentre sparava con un cannoncino verso la caserma. Lasciò la moglie e una figlia piccola.
TESTI
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, p. 143 (n. 162);
- Michele Sforza, La città sotto il fuoco della guerra, Roma, Rodorigo Editore, 2014, pp. 363-366.
L'Istituto, nato all'indomani dell'Unità per accogliere le figlie dei militari che avevano partecipato alle guerre d'Indipendenza, fu inizialmente riservato alle orfane di guerra e alle figlie di invalidi e decorati al valore. L'imponente edificio fu costruito tra il 1885 e il 1888 in stile eclettico. Nelle due ali erano ospitate la sezione professionale e quella magistrale. Nel 1940 venne requisito e adibito a ospedale militare. Dopo la guerra cominciò il declino dell'ente, progressivamente ridimensionato sino alla soppressione, avvenuta nel 1982. Attualmente è sede di tre istituti superiori.
TESTI
- Riccardo Gervasio, Storia aneddotica descrittiva di Torino, vol. 1 (A zonzo per le vie della città), Torino, Le Bouquiniste, 1967, p. 174;
- Guida Commerciale ed Amministrativa di Torino 1942-1943, Torino, Paravia, 1942, p. 747.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "figlie", schede n. 1, 4, 7);
- Archivio di Stato di Torino
http://archiviodistatotorino.beniculturali.it/work/entedett.php?eid=270043
Carlo Tancredi Falletti di Barolo (1782-1838) era l'ultimo erede di una delle più ricche e antiche famiglie aristocratiche del Piemonte, mentre Giulia Colbert di Maulévrier (1785-1864), nobildonna di origini francesi, discendeva dal grande ministro delle finanze di Luigi XIV. Sposatisi a Parigi nel 1807, successivamente si stabilirono a Torino, nello splendido palazzo di proprietà dei Barolo. La coppia, che non ebbe figli, fu sempre unita da una profonda sintonia e avviò numerose attività benefiche, fondando vari istituti e opere di assistenza. Nel loro palazzo vennero aperti una mensa per i poveri e uno dei primi asili infantili d'Italia. Il marchese fu sindaco di Torino nel biennio 1826-27 e in tale veste si distinse nella lotta contro il pauperismo. Giulia si dedicò soprattutto al miglioramento delle condizioni di vita delle carcerate e al loro recupero morale e materiale. Si occupò anche delle ragazze madri, offrendo loro valide alternative alla scelta, quasi obbligata, della prostituzione. I marchesi sono annoverati tra i Santi Sociali di Torino e per entrambi la Chiesa ha avviato il processo di beatificazione.
TESTI
- Marcello Falletti di Villafalletto, Un uomo che seppe contare i propri giorni. Carlo Tancredi Falletti di Barolo da sindaco di Torino, educatore, collezionista d'arte a fondatore religioso e benefattore, Firenze, Anscarichae Domus, 2006;
- Cristina Siccardi, Giulia dei poveri e dei re, Torino, Editrice Il Punto, 1998;
- Simonetta Ronco, Giulia di Barolo. Una donna fra Restaurazione e Risorgimento, Torino, Edizioni del Capricorno, 2008.
Il poligono di tiro del Martinetto fu costruito nel 1883. Dopo l'8 settembre 1943 l'imponente complesso venne scelto dalle autorità della Repubblica sociale come luogo di esecuzione delle condanne a morte e delle fucilazioni per rappresaglia. Con l'approssimarsi della Liberazione il CLN del Piemonte decise che sarebbe diventato un sacrario per onorare la memoria dei 59 partigiani e resistenti che vi trovarono la morte. I nomi dei caduti sono ricordati da una lapide scoperta con una solenne cerimonia l'8 luglio 1945. Della struttura, in gran parte demolita nel 1967, rimane oggi solo il recinto delle esecuzioni.
TESTI
- Città di Torino, Istituto piemontese per la storia della resistenza e della società contemporanea, Torino 1938/45. Una guida per la memoria, Torino, Blu Edizioni 2010, pp. 65-67;
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, pp. 62, 63.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "martinetto", schede n. 1, 5).
La più celebre opera dell'architetto Alessandro Antonelli (1798-1888) fu costruita a partire dal 1863 su commissione della comunità israelitica torinese. L'edificio avrebbe dovuto essere infatti una sinagoga, ma le continue modifiche apportate al progetto, l'allungamento dei tempi di costruzione e l'aumento dei costi determinarono, nel 1869, l'interruzione dei lavori. Solo nel 1878 il cantiere fu riaperto, essendo subentrato come committente il comune di Torino. L'edificio venne inaugurato nel 1889 con la posa della statua raffigurante un genio alato, successivamente sostituita da una stella. Nel 1953 un temporale di eccezionale violenza fece crollare 47 metri della guglia. I lavori di ricostruzione si conclusero nel 1961, in occasione delle celebrazioni del primo centenario dell'Unità d'Italia. Dal 2000 ospita il Museo Nazionale del Cinema.
TESTI
- Gianfranco Gritella (a cura di), La Mole Antonelliana. Storia di un edificio simbolo dal progetto al restauro, Milano, Utet Periodici Scientifici, 1999.
La chiesa di Santa Maria al Monte e l'annesso convento furono costruiti a partire dal 1584 su progetto dell'ingegnere Giacomo Soldati, successivamente modificato dall'architetto Ascanio Vitozzi (1539-1615). Il complesso, che sostituì l'antica fortezza della Bastita, fu voluto dal duca Carlo Emanuele I (1562-1630) per insediarvi la comunità dei frati cappuccini di Torino. I lavori vennero ultimati dall'architetto Carlo di Castellamonte (1560-1640). In un'ala del convento ha sede il Museo Nazionale della Montagna "Duca degli Abruzzi", fondato nel 1874.
TESTI
- Bruno Gambarotta, Sandro Ortona, Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (a cura di), Torino. Il grande libro della Città, Torino, Edizioni del Capricorno, 2004, pp. 800, 801.
Nacque nel 1880 come Asilo Reynero, in seguito al lascito del benefattore al quale fu intitolato. L'edificio dove ebbe sede per quasi novant'anni venne costruito nel 1892. Nel 1924 l'Asilo si fuse con l'Associazione delle dame di carità di Santa Giulia in un unico ente denominato Opera Pia Reynero. Raggruppava sette istituti di beneficenza, tra cui un asilo nido, un asilo infantile, una scuola di lavoro per ragazze del popolo, una casa-famiglia per giovani operaie e impiegate. Cessò l'attività nel 1981. Attualmente l'edificio è sede del Centro Sociale Askatasuna (fu occupato nel 1996).
TESTI
- Guida Commerciale ed Amministrativa di Torino 1942-1943, Torino, Paravia, 1942, p. 567.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "reynero", scheda n. 1).
Il complesso venne costruito nel 1907, su progetto dell'architetto Pietro Fenoglio (1865-1927), come sede della Venchi. La ditta, nata in borgo Vanchiglia nel 1878, si specializzò nella produzione di confetti, cioccolato, caramelle e biscotti. Nel nuovo stabilimento, di oltre 12.000 metri quadrati, lavoravano circa 500 operai. Nel 1934 le due più grandi aziende dolciarie torinesi, la Venchi e la Unica - società creata nel 1924 dal finanziere Riccardo Gualino (1879-1964) - si fusero dando vita alla Venchi Unica. Col trasferimento della società, avvenuto nel 1938, il complesso fu trasformato in Opificio Militare. Venne gravemente danneggiato dal bombardamento del 13 luglio 1943.
TESTI
- Nicola Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, FrancoAngeli, 2014, pp. 69, 70 e 73-75.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "opificio", scheda n. 1).
Fu costruito a proprie spese nel 1899 dall'insigne professore di otorinolaringoiatria Giuseppe Gradenigo (1859-1926). Inaugurato nel 1900, accoglieva sia infermi in grado di pagare che ammalati poveri, curati gratuitamente. Alla morte del fondatore la proprietà passò alle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli. L'edificio, distrutto dal bombardamento del 13 luglio 1943 e ricostruito nel 1948, fu ampliato negli anni Sessanta e Novanta del Novecento.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "gradenigo", scheda n. 1).
Sino alla metà degli anni Trenta del Novecento era attraversato dall'omonimo canale realizzato nel 1816 dall'ingegnere idraulico Ignazio Michelotti (1764-1846) per fornire energia a diversi impianti produttivi presenti nella zona. Venuta meno la sua funzione, il canale fu colmato utilizzando le macerie dei palazzi demoliti della vecchia via Roma. La scomparsa del canale significò indubbiamente il sacrificio delle prerogative romantiche più allettanti del parco (il suo silenzioso corso d'acqua, i ponticelli rustici, l'ombroso viale di gaggie), ma ne consentì l'ampliamento, a tutto vantaggio della sua effettiva utilizzazione.
TESTI
- Riccardo Gervasio, Storia aneddotica descrittiva di Torino, vol. 1 (A zonzo per le vie della città), Torino, Le Bouquiniste, 1967, pp. 171, 172.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "michelotti", schede n. 1, 2, 3, 5).
La costruzione della grande città della carità nell'allora periferico Borgo Dora ebbe inizio nel 1832, dopo la chiusura (1831), dovuta all'epidemia di colera, del "deposito dei poveri infermi", fondato nel 1828 nei pressi della chiesa del Corpus Domini da san Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786- 1842). L'Istituto non rifiutava nessuno, perciò divenne in breve tempo luogo di accoglienza per migliaia di indigenti. Negli edifici che man mano acquisiva presero progressivamente dimora le sezioni che accoglievano ogni umana sventura. Il complesso fu danneggiato dai bombardamenti del 13 luglio e dell'8 agosto 1943.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "cottolengo", schede n. 1, 7, 9).
Nacque a Genova il 3 agosto 1921 in una famiglia di marinai. Uscito dall'Accademia militare di Torino con il grado di tenente, partecipò alla guerra combattendo in Croazia. Tornato in Italia dopo l'8 settembre 1943, entrò nella Resistenza unendosi alle bande azioniste. Dall'estate 1944 fu comandante della 7a divisione GL. Arrestato l'8 agosto 1944 a Torino da uomini dell'UPI, fu liberato in seguito ad uno scambio di prigionieri. Dietro delazione venne nuovamente arrestato a Milano ai primi di gennaio del 1945. Trasferito a Torino fu processato e condannato a morte. Venne fucilato al Martinetto il 23 gennaio 1945 insieme ad altri dieci partigiani. E' medaglia d'oro al valor militare.
TESTI
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, p. 72;
- Piero Malvezzi, Giovanni Pirelli (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945), Torino, Einaudi, 2011, pp. 106-112.
SITI INTERNET
Fu costruito tra il 1970 e il 1972 a campata unica in cemento armato precompresso per sostituire il vecchio ponte ottocentesco (1877-1882) a tre arcate, ritenuto inadeguato al crescente traffico della zona (la carreggiata era larga solo otto metri). L'opera, che ha una lunghezza complessiva di 130 metri e una larghezza di 35,50 metri, è composta da due strutture affiancate e indipendenti.
TESTI
- Angia Sassi Perino, Giorgio Faraggiana, I trentasei ponti di Torino, Torino, Edizioni del Capricorno, 1995, pp. 69-72 ("Il vecchio ponte Regina Margherita"), 140-145 ("Il nuovo ponte Regina Margherita").
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "regina", scheda n. 7).
Caratterizzata dalla pianta ottagonale, è il cuore di Porta Palazzo. I lavori per la realizzazione di una piazza porticata furono affidati nel 1729 dal re Vittorio Amedeo II all'architetto Juvarra nel contesto del progetto di rettificazione dell'antica Contrada di Porta Palazzo (attuale via Milano) e dello sbocco di questa verso nord. Il cantiere si concluse nel 1733. Entrambi gli isolati vennero allungati nel 1819 per meglio adattarsi al progetto della nuova piazza ottagonale, definita tra il 1825 e il 1830. Completata nel 1837, fu intitolata al duca Emanuele Filiberto. E' la piazza più vasta di Torino. Il suo mercato, attivo sin dal 1835, è il più grande d'Europa all'aperto. La piazza ospita quattro strutture: il mercato ittico, quello alimentare (entrambi realizzati nel 1836), la "Tettoia dell'Orologio" (1916) e il mercato dell'abbigliamento (opera recente e assai discussa dell'architetto Massimiliano Fuksas)
TESTI
- Bruno Gambarotta, Sandro Ortona, Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (a cura di), Torino. Il grande libro della Città, Torino, Edizioni del Capricorno, 2004, pp. 884, 885.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "repubblica", schede n. 2, 6, 9).
Sorse nel 1907 come Opera di assistenza momentanea per bimbi abbandonati (da 0 a 12 anni d'età). Priva di mezzi, viveva esclusivamente della carità cittadina. Esiste tuttora come IPAB (Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficienza) "Pro Infantia Derelicta". Pur ridimensionato nel numero degli ospiti, l'Istituto prosegue l'attività di accoglienza di giovani italiani e stranieri sino ai 18 anni d'età, seguendone la formazione per portarli ad una condizione di autonomia.
TESTI
- Guida Commerciale ed Amministrativa di Torino 1942-1943, Torino, Paravia, 1942, p. 580.
Mosaicista. Nato in provincia di Bologna nel 1916, era il penultimo di sei fratelli di una famiglia di braccianti agricoli di tradizione socialista. Dopo l'8 settembre 1943 si dedicò al lavoro cospirativo, in contatto con i socialisti torinesi e rappresentò il PSI nel primo Comitato Militare del CLN piemontese. Arrestato il 27 marzo 1944, venne fucilato il 5 aprile al poligono di tiro del Martinetto. La lapide fu trasferita qui dall'originaria collocazione di via Fontanesi 7, dove aveva sede una sezione socialista.
TESTI
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, p. 67;
- Piero Malvezzi, Giovanni Pirelli (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945), Torino, Einaudi, 2011, pp. 42, 43.
Costruito tra il 1828 e il 1837 per sostituire l'ormai inadeguato Ospedale dei Pazzerelli, sorse alla periferia della città, vicino all'allora recente Ospedale San Luigi Gonzaga (1818-1824). Fu danneggiato dai bombardamenti del 13 luglio e dell'8 agosto 1943.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "manicomio", scheda n. 1).
L'edificio, significativo esempio di architettura per l'assistenza della prima metà dell'Ottocento, fu aperto nel 1838 per ricevere i mendicanti di entrambi i sessi della città e del circondario di Torino. Requisiti indispensabili per essere accettati erano: avere almeno 16 anni, trovarsi in una condizione di miserabilità constatata, essere inabili al lavoro, non avere parenti tenuti a provvedere al mantenimento, non essere affetti da malattie contagiose o mentali nè da epilessia, non essere qualificati per un altro istituto. Nell'estate del 1943 il complesso fu gravemente danneggiato dai bombardamenti e la cappella venne totalmente distrutta (fu ricostruita dopo la guerra). Attualmente è sede della RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) "Carlo Alberto".
TESTI
- Guida Commerciale ed Amministrativa di Torino 1942-1943, Torino, Paravia, 1942, p. 550.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "mendicità", scheda n. 1).
La piazza sorse dopo l'abbattimento delle mura ad opera dei francesi occupanti (1800). Con la Restaurazione divenne tristemente famosa perché destinata a sede delle esecuzioni capitali, eseguite prevalentemente mediante impiccagione. Nel 1852 il sito delle esecuzioni venne trasferito sui bastioni in via di demolizione della Cittadella. L'ultima impiccagione a Torino fu eseguita nel 1864. Il monumento a San Giuseppe Cafasso (1811-1860), il "prete della forca", fu voluto dai carcerati di tutta Italia per ricordare la figura di questo sacerdote che seguì spiritualmente, confortandoli e accompagnandoli al supplizio, ben 57 condannati. L'opera in bronzo fu collocata nel 1961. Cafasso è il patrono dei carcerati e dei condannati a morte.
TESTI
Bruno Gambarotta, Sandro Ortona, Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (a cura di), Torino. Il grande libro della Città, Torino, Edizioni del Capricorno, 2004, p. 474, alla voce "Boia".
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "rondò", schede n. 1, 2, 3, 5).
Edificio costruito nel 1897. L'azienda nacque nel 1920 come "Società Esercizio Officine e Fonderie Giovanni Martina e figli". Nel 1927 mutò ragione sociale e denominazione in SAFOV. La sede sociale e gli uffici si trovavano in via Balbo 9. L'azienda era specializzata nella costruzione di montacarichi e ascensori (un'inserzione pubblicitaria del 1937 vantava la presenza di tre ascensori rapidi SAFOV all'interno della Torre Littoria). Dal 1943 cominciarono le difficoltà, dovute soprattutto ai bombardamenti: in particolare le incursioni del 13 luglio e dell'8 agosto 1943 danneggiarono gravemente lo stabilimento. L'azienda cessò la produzione nel 1972.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "safov", schede n. 1, 2, 3, 4);
- Istoreto
Panettiere. Nato a Palermo nel 1914, sappista, cadde il 27 aprile 1945, durante l'insurrezione.
TESTI
- Nicola Adduci, Barbara Berruti, Luciano Boccalatte, Andrea D'Arrigo, Giuliana Minute (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio, Torino, Museo diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015, p. 141 (n. 155).
Nella Torino dell'Ottocento una parte considerevole della popolazione viveva in condizioni di estrema miseria. A questo gravissimo problema l'assistenza pubblica riusciva a far fronte in misura insufficiente. Fu in tale contesto che si trovarono ad agire i Santi Sociali, religiosi e laici che fecero dell'aiuto agli emarginati lo scopo principale della loro vita. Sorsero così quelle grandi istituzioni caritative per cui ancora oggi Torino è conosciuta nel mondo. Tra gli altri basti ricordare i marchesi di Barolo, Carlo Tancredi (1782-1838) e la moglie Giulia (1785-1864), San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), San Giuseppe Cafasso (1811-1860), San Giovanni Bosco (1815-1888), San Leonardo Murialdo (1828-1900).
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- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "santi", schede n. 1, 2).
Appartenente alle SAP. Le Squadre di Azione Patriottica erano formazioni partigiane di combattimento create per iniziativa dei comunisti nell'estate del 1944 con lo scopo di espandere la partecipazione popolare alla guerra di liberazione nelle città e nelle campagne. Rispetto ai Gruppi di Azione Patriottica (GAP), formati al massimo da quattro o cinque combattenti, le SAP avevano una composizione numerica decisamente maggiore. Di esse potevano far parte uomini di tutte le correnti politiche, a differenza dei GAP, costituiti esclusivamente da militanti comunisti. Nei giorni dell'insurrezione le SAP si rivelarono fondamentali per la difesa degli stabilimenti industriali cittadini.
TESTI
Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, pp. 459-461.
Fondata nel 1838 per volontà di Carlo Alberto come asilo infantile, da allora è sempre stata ininterrottamente funzionante. Fu lievemente danneggiata dal bombardamento del 13 luglio 1943. Sino al 1946 fu sostenuta dalla Casa Reale. Oggi l'edificio è di proprietà del Demanio e la scuola viene gestita dalla Delegazione dell'Ordine di Malta.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "materna", scheda n. 6).
Edificio non più esistente: oggi Parco Archeologico della Porta Palatina. Costruito nel 1860, fu gravemente danneggiato dal bombardamento del 13 luglio 1943. Venne demolito nel dopoguerra. Sorgeva nell'isolato compreso tra corso regina Margherita, via XX Settembre e via Porta Palatina. Altri edifici posti nel medesimo isolato furono completamente distrutti da quel terribile bombardamento.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "valperga", scheda n. 1).
Edificio non più esistente: oggi Parco Archeologico della Porta Palatina. Costruito nel 1898, fu gravemente danneggiato dal bombardamento del 13 luglio 1943. Venne demolito nel 1950.
Tra gli istituti che vi avevano sede vanno ricordati la Scuola Professionale per Idraulici, Lattonieri, Gasisti (piazza S. Giovanni 15) e la Regia Scuola secondaria maschile e femminile di avviamento professionale a tipo commerciale con specializzazione alberghiera (via Porta Palatina 20).
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "tasso", scheda n. 1);
- Archivio Storico "La Stampa"
Il sito produttivo Officina Vanchiglia, anche noto come Gasometro, fu realizzato tra il 1862 e il 1863 dalla Società Consumatori Gaz-Luce su terreni che allora facevano parte della campagna torinese. Nel 1885 venne ampliato per aumentare la produttività e far fronte alla crescente domanda di energia. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento l'intero complesso (palazzina degli uffici e capannoni industriali) fu ricostruito in stile eclettico (il progetto è del 1891) e nuovamente ampliato. Nel 1925 la Società Consumatori Gaz-Luce si fuse con la Società Italiana per il Gaz, dando vita all'ITALGAS. Dopo le trasformazioni degli anni Trenta del Novecento e le distruzioni belliche dovute ai bombardamenti del 13 luglio e dell'8 agosto 1943, oggi restano solo alcuni fabbricati, tra cui la palazzina degli uffici e i gasometri. Gli impianti furono smantellati tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Una parte dell'area, ceduta all'Università di Torino alla fine degli anni Novanta, è stata completamente riqualificata per realizzare il nuovo Campus Luigi Einaudi, inaugurato nel 2012, dove hanno trovato sede la Facoltà di Giurisprudenza e quella di Scienze Politiche.
TESTI
- Bruno Gambarotta, Sandro Ortona, Rosanna Roccia, Giovanni Tesio (a cura di), Torino. Il grande libro della Città, Torino, Edizioni del Capricorno, 2004, pp. 691, 692, alla voce "Gas"
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- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "italgas", schede n. 1, 2, 8, 10).
Caratterizzò le realizzazioni architettoniche del XIX secolo, dalla fine dell'età neoclassica al Liberty, rivolte al recupero degli stili del passato (neoromanico, neogotico, neorinascimentale, neobarocco) attraverso la loro reciproca contaminazione. L'eclettismo ricorse anche a linguaggi architettonici orientali (esotismo). Nella seconda metà dell'Ottocento si legò alle risistemazioni urbanistiche, in chiave celebrativa, delle città capitali.
SITI INTERNET
- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "eclettica", scheda n. 1).
Fiorito in Europa e negli Stati Uniti nei primi anni del XX secolo, soprattutto nel campo dell'architettura e delle arti applicate, derivò il nome da Arthur Lasenby Liberty (1843-1917), proprietario di una celebre ditta di arredamento di Londra. In Italia fu anche detto "Stile Floreale", perché caratterizzato dal ricorrere di elementi decorativi di ispirazione vegetale, raffinatamente stilizzati. In Francia è chiamato più comunemente "Art Nouveau", in Gran Bretagna "Modern Style", in Germania "Jugendstil". Torino fu, insieme a Milano, il maggior centro del Liberty in Italia: proprio nel capoluogo subalpino si tenne, nel 1902, la prima Esposizione Internazionale d'Arte Decorativa Moderna.
TESTI
- Lara Vinca Masini, Art Nouveau, Firenze, Giunti, 1989.
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- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "liberty", scheda n. 1).
La piccola città del divertimento aprì i battenti il 20 giugno 1936 nel Parco Michelotti recentemente ampliato. Ospitava un cinema, un teatro e varie attrazioni, tra le quali una struttura per gli spettacoli dei fantocci. A proposito del teatro, va ricordato che la più antica arena estiva, tutta di legno e caratterizzata da tipiche torrette, risaliva al 1910.
TESTI
- Maria Grazia Imarisio, Diego Surace, Marica Marcellino, Una città al cinema. Cent'anni di sale cinematografiche a Torino (1895-1995), Rivoli, Neos Edizioni, 1996, p. 230.
I due edifici, di gusto tardo eclettico, furono costruiti nel 1929 per volere del pellicciaio Francesco Rivella, che vi trasferì il suo famoso atelier. Sono anche noti come "le zuccheriere". Pur sembrando molto simili, sono in realtà assai diversi tra loro. Costituiscono una sorta di "porta urbana", all'incrocio tra corso Regina Margherita e corso Regio Parco.
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- MuseoTorino
http://www.museotorino.it/site/catalog (digitare "rivella", scheda n. 2).
E' intitolata alla celebre eroina dell'assedio di Torino del 1706. Secondo la leggenda, la Bricca abitava vicino al castello di Pianezza, che i francesi assedianti avevano occupato, trasformandolo in deposito di armi e vettovaglie. Utilizzando un passaggio sotterraneo segreto che collegava casa sua al castello, guidò un drappello di granatieri prussiani all'interno del maniero, sorprendendo i nemici e permettendone la cattura. La figura di Maria Bricca fu esaltata nel 1906, in occasione del secondo centenario dell'assedio, come fulgido esempio di eroismo di matrice popolare.
TESTI
- Renzo Rossotti, La grande guida delle strade di Torino, Roma, Newton & Compton, 2003, pp. 146, 147.
Fu inaugurato il 20 ottobre 1955 all'interno del Parco Michelotti, su un'area data in concessione per trent'anni alla Società Molinar. Nel 1957 ebbero inizio i lavori per la realizzazione di un secondo lotto e il 28 maggio 1960 venne aperto anche l'Acquario-Rettilario. Nonostante fosse ormai diventato un'importante attrazione turistica per la città, nel 1987 il consiglio comunale ne approvò la chiusura, che avvenne il primo aprile di quell'anno.
SITI INTERNET
A cura del Centro studi Piero Gobetti e dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza
“Dalla città alla montagna. Lo sguardo di Paolo Gobetti” è un percorso multimediale curato dal Centro studi Piero Gobetti e dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza nell’ambito di “Altre visioni, Alte storie”, un progetto nato con l’obiettivo di narrare una storia di Resistenza alpina e montanara attraverso linguaggi moderni e realizzato nell’ambito del primo bando della Compagnia di San Paolo “Polo ‘900 per il Piemonte” grazie alla sinergia di cinque enti delle province di Cuneo e di Torino: Fondazione Nuto Revelli (capofila), Unione Montana Valle Stura, Fondazione Artea, Centro Gobetti e ANCR. Il progetto “Altre visioni, alte storie” prende spunto dall’intuizione avuta da Paolo Gobetti (figlio di Piero, fondatore dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza), che per primo raccontò attraverso il cinema la lotta partigiana di montagna, intuendo ben presto la straordinaria potenzialità comunicativa del linguaggio universale della settima arte. Da questo spunto multimediale ante litteram, sono nati non solo questo percorso, ma anche l’App “Storie in cammino” (che guida il visitatore sul sentiero partigiano che unisce Valloriate a Paraloup raccontando la storia attraverso contenuti video, testi e immagini selezionati a cura di Fabio Gianotti e Lucio Monaco e illustrati da Sara Chiesa), l’archivio visivo in quota sul cinema di Resistenza a Paraloup e la postazione di realtà virtuale “In volo sul forte” al Forte Albertino di Vinadio.
In particolare, il percorso qui presentato, “Dalla città alla montagna. Lo sguardo di Paolo Gobetti”, ha solo due punti: quello di partenza (via Fabro 6) e quello di arrivo (Paraloup). Sono due punti densi di significato storico e di valore simbolico, collegati fortemente dalla figura di Paolo Gobetti, partigiano, cineasta, appassionato di montagna. All’interno della seconda tappa (Paraloup) è poi possibile scaricare l’App “Storie in cammino” per proseguire il percorso sul sentiero partigiano.
Quante figure nobili, care figure come la sua appariranno per un attimo in queste pagine per poi allontanarsi in un'ombra senza ritorno. Era con un altro e mi venne incontro deciso, il volto abitualmente·pallido segnato·dalla preoccupazione e dalla stanchezza: Se ne vada, che cosa sta a fare? Adami Rossi ha consegnato la città ai tedeschi. Se ne vada subito.
La folla intorno incominciava a diradarsi; ci allontanammo, ancora increduli, a malincuore. A casa, un giovane che stava ascoltando la radio, ci accolse con tono eccitato: Farinacci parla da Monaco; hanno ricostituito il partito fascista; è un vero incitamento alla guerra civile! Alzai le spalle con un senso di fastidio. Poco m'importava di Monaco e di Farinacci in quel momento; mi pareva che ci fossero cose più urgenti da fare: bruciare le carte intanto, soprattutto le schede di quelli che s'erano iscritti nei «Volontari della nazione armata» per il «Fronte italiano della resistenza».
Una pesante stanchezza fisica incominciava a pesare su di me: mentre Lisetta mi preparava un caffè, mi accinsi a radunare e bruciare i documenti pericolosi.
Paolo intanto discuteva violentemente con alcuni amici: Bisogna fare qualcosa; non si può cedere in questo modo; togliamo le rotaie; tiriamo su le barricate, gridava con un tono di disperazione che suonava strano nella sua voce ancora infantile. Era la sua prima delusione d'amore; era la prima volta in cui, fanciullo, aveva amato qualcosa, aveva creduto in qualcosa, in quella forte volontà di resistere che intuitivamente s'era sentita intorno; e ora non voleva credere che fede e amore fossero stati vani.
Arrivò Ettore ton la notizia che un suo collega, aveva· trovato un fucile: che cosa bisognava farne? Prenderlo, dissi subito. Ettore riparti di corsa e Paolo scomparve dietro di lui.
Le carte bruciavano. Lo studio era deserto. Nella stanza da pranzo quasi ubbidendo a un istintivo bisogno di maggior riservatezza si teneva una specie di consiglio di guerra. C'erano Andreis, Agosti, Foa, Venturi, Peccei. E c'era anche Luigi Scala: Scala, uscito dalla lunga prigionia soltanto due giorni prima e che dovevo rivedere per un momento tre anni dopo, al suo ritorno da Mauthausen così fisicamente distrutto che neanche il suo spirito indomabile sarebbe riuscito a salvarlo.
Le decisioni furon prese rapidamente: bisognava scomparire, dividersi, pur tenendosi segretamente in contatto; si sarebbe visto che forme avrebbe preso l'offensiva poliziesca e come si sarebbe potuto lavorare. Un gruppo sarebbe andato nella Val Pellice, un altro nel Cuneese; noi ci saremmo portati, per il momento, nella Val Susa, a Meana. Qualcuno arrivò ansante con la notizia che un autocarro carico di S.S. stava per arrivare a casa mia, in via Fabro. Di nuovo alzai le spalle: mi pareva del tutto improbabile che le SS ci dessero tanta importanza. Convenimmo tuttavia ch'era prudente sciogliersi il più presto possibile; promisi, a malincuore, che anche noi saremmo andati a dormire alla Vigna Allason. Ci salutammo alla svelta, senza particolare commozione. Scesi anch'io sotto il portone. Ettore arrivava portando un fucile modello '91, il modello su cui, ragazzina, durante l'altra guerra, avevo imparato a sparare. - Seppelliscilo in cantina, - suggerii, accarezzando fuggevolmente la lunga canna. E in cantina rimase, per venti mesi, finché, nelle notti dell'insurrezione, servì a sparare contro gli ultimi carri armati tedeschi.
Appena fu chiaro, sentii che potevo fare una corsa a casa, in cerca di notizie. Non incontrai anima viva fino in Corso Tassoni dove, all'angolo con Via Amedeo Peyron, eran fermi due o tre uomini, dall'aspetto di operai. - Ebbene? - gridai loro rallentando la bicicletta. E tanta era in quei giorni l'identità dei sentimenti e dei pensieri ch'essi intesero benissimo il senso della mia domanda e, benché non mi conoscessero com'io non li conoscevo, risposero con un gesto allegro della mano: - Se ne sono andati!
Ripresi a pedalare di lena; di nuovo non incontrai nessuno sino in Piazza San Martino dove quasi incoscientemente, per la vecchia abitudine d'evitar sempre, quando fosse possibile, la Via Cernaia con la caserma dei militi, infilai direttamente la Via Juvara. A misura che m'avvicinavo a casa, evidenti si facevano i segni della recente battaglia: vetri rotti, muri scrostati. Col cuore in gola piu per l'ansia che per la corsa svoltai finalmente in Via Fabro; ed ecco Ettore col bracciale tricolore del CLN. Gli buttai le braccia al collo: - E Paolo? -Eccolo, - rispose con un gesto. E lo vidi arrivare infatti, al volante d'una «topolino» Ed ecco Espedita che mi abbraccia, piangente e commossa; ed ecco i casigliani usciti sulla strada, che mi stringon la mano, rallegrandosi, congratulandosi. C'era in tutti, anche in quelli meno politicamente consenzienti,un senso di festoso sollievo, come per il dissiparsi di un lungo incubo.
Con Ettore e Paolo, salii in casa dove trovai un disordine indescrivibile. Mi raccontarono. Il giorno prima, erano appena tornati a casa - Paolo dalla Gioventù d'Azione, Ettore dalla raccolta dei pezzi per la trasmittente - quando, verso le 14, era arrivata una compagnia di partigiani, la 49a Brigata Garibaldi, che aveva occupato la nostra casa e quelle vicine, preparandosi a sferrar di lì l'attacco contro la caserma Cernaia. Paolo s'era immediatamente unito a loro, andando a tirar fuori dalla cantina il vecchio fucile modello '91, trovato il IO settembre. Prevedendo che avrebbe «fatto caldo», Ettore aveva intanto consigliato ai vicini di scendere in cantina, nel rifugio', dove nessuno più scendeva da tempo, e in cui rimise a posto la luce. Il pomeriggio era trascorso nei preparativi e nel- l'attesa. I garibaldini ch'eran bene armati, con fucili, mitragliatori, panzerfaust' e persino un bazooka, s'e rano installati in casa, provvedendo a montare e preparare le armi in attesa che scendesse la sera per attaccare. Ettore s'era prodigato ad aiutarli: dall'aggiustare o ritrovar la vite mancante a fasciare i piedi d'un ragazzo che se li era feriti. Espedita, altre inquiline della casa (naturalmente le più semplici) avevan portato cibi e conforti.
Al primo scendere della sera s'era sentito un rumore d'automezzi e s'era visto snodarsi sul corso, al di là del giardino, una colonna armata: i tedeschi cercavan d'andarsene dagli Alti Comandi di Corso Oporto. Immediatamente i nostri s'eran messi a sparare dalle finestre prospicienti il giardino e avevan colpito diversi automezzi. Gli altri avevan risposto: n'era seguita una sparatoria violenta di cui si vedevano ancor le tracce sulla facciata della casa e sul piedistallo del monumento a Ettore De Sonnaz ', che però aveva resistito impavido, come già durante i bombardamenti. La battaglia s'era, a intervalli, protratta per tutta la notte. A un certo punto, sentendo sparare da Corso Palestro (si trattava probabilmente dei fascisti della caserma Cernaia) avevan creduto che i nemici stessero per circondar l'isolato; ma per fortuna l'allarme era infondato.
Continuando a sparare, avevano colpito un camion con rimorchio pieno di munizioni che s'erano incendiate, continuando a esplodere a lungo. Alle prime luci dell'alba Paolo e un altro avevano attraversato il giardino per rendersi conto delle perdite inflitte al nemico: avevano incendiato un autoblinda e il camion con rimorchio, immobilizzato altri quattro camion, quattro o cinque macchine, colpito una «topolino», certo appartenente, a giudicar da quanto conteneva, alla Feld-Gendarmerie, e ancora servibile, nonostante una gomma bucata. Paolo aveva cambiato la gomma e, caricati sulla macchinetta quanti più garibaldini c1 stavano, erano andati alla caserma Cernaia, che appariva vuota e abbandonata. Lasciato lì il gruppo di partigiani a presidiare, era tornato a caricarne degli altri per portarli alla Stipel.
Mentre raccontavano, provavo un rimpianto cocente, quasi di rancore: mentre li si combatteva io ero rimasta per tutta la notte immobilizzata e quasi inattiva al Borello; ma subito, guardando Paolo ed Ettore sani e salvi, mi rimproverai quest'assurdo moto di ribellione. Nuovi compiti s'imponevano: meno romantici, ma altrettanto importanti.
Nel bel libro Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Duccio Demetrio, il grande pedagogista, enumera i caratteri di una memoria interculturale: 1. il rapporto tra passato, presente, futuro; 2. il rapporto tra identità, dialogo, ascolto; 3. il nesso tra memoria e democrazia1.
Primo. La memoria è un “movimento mentale che include chi siamo stati, chi siamo e chi saremo”2. Educando alla memoria del presente e del passato, la memoria diventa “un presente ragionato che diventa altra memoria”3.
Secondo. La memoria è la precondizione per potersi dedicare “al ripasso quotidiano della propria esistenza”4. Il dialogo, se è autentico, è un tipo di conversazione contrassegnato da una sospensione di giudizio e da una volontà di scoperta: “Non c’è identità senza dialogo”5. Ma non c’è dialogo senza ascolto, perché solo chi ascolta sa ascoltarsi e sa attendere.
Terzo. La memoria rende più solida la democrazia. La costruzione della memoria “è ricerca della democrazia del tempo interiore”6. Una delle principali forme dell’educazione alla democrazia consiste nell’educare “a coltivare i propri luoghi della memoria e a ricostruirli”7. Storicamente l’arte del ricordare è stata una prerogativa delle aristocrazie. “Facciamo in modo – è l’invito rivoltoci da Demetrio – che le aristocrazie non si compiacciano, che la democrazia del ricordare trovi altre strade”8.
Uno dei luoghi piemontesi più significativi della “democrazia del ricordare” è la casa di Piero e Ada Gobetti, in via Fabro 6, a Torino. Il Centro studi Piero Gobetti, mantenendo la sede storica di via Fabro e aprendosi al progetto del Polo del ‘900, che ha sede nei palazzi juvarriani, in via del Carmine 13 e 14, è impegnato a far rivivere giorno per giorno nel suo lavoro e nelle sue attività il rapporto tra passato, presente, futuro.
Via Fabro 6 è stata nel tempo la sede de “La Rivoluzione Liberale” e della casa editrice di Gobetti, è stata la casa da dove Piero è partito la mattina del 3 febbraio 1926 recandosi in esilio a Parigi senza fare più ritorno, è stata la casa dove gli amici di Piero si riunirono con Ada un mese dopo la sua partenza e dopo la sua morte avvenuta il 16 febbraio.
In seguito, durante la Resistenza, che Piero in qualche modo aveva previsto e di cui con le sue idee e il suo esempio è stato uno degli artefici, via Fabro 6 è tornata ad essere il centro di coloro che hanno combattuto per la liberazione ispirandosi al messaggio di Piero Gobetti.
Nel 1961 la casa dei due giovani è diventata il Centro studi Piero Gobetti per iniziativa di Ada, Paolo, Carla Gobetti e degli amici e degli eredi morali di Piero. Tra gli altri ricordo: Barbara Allason, Giorgio Agosti, Franco Antonicelli, Norberto Bobbio, Felice Casorati, Alessandro Galante Garrone, Carlo Levi, Eugenio Montale, Augusto Monti, Alessandro Passerin d’Entrèves, Franco Venturi. In quella occasione uscirono numerosi articoli e molte furono le segnalazioni giornalistiche locali e nazionali. In un articolo intitolato In ricordo di Piero Gobetti Bobbio scrisse: “Il Centro non vuol essere soltanto un museo o un archivio”, perché “non basta custodire le memorie: occorre rinnovarle, prolungarle, vivificarle”9. Il Centro, continuava Bobbio, vuole essere un “luogo ideale” aperto ai giovani, per incontri, riunioni, seminari, dibattiti, gruppi di studio e di ricerca.
Nel discorso inaugurale tenuto il 16 febbraio 1961 Passerin d’Entrèves auspicava che la casa di Piero e Ada Gobetti diventasse “la casa di tutti noi”10. Un “noi” aperto ai giovani, “perché a Piero essi devono potersi sentire più vicini che a noi; perché Piero è rimasto giovane [...] ed ai giovani egli potrà parlare ancora”11, un “noi” destinato, nelle intenzioni dei fondatori, a rinnovarsi per l’iniziativa di forze nuove, secondo l’insegnamento di Gobetti che attorno a “Energie Nove” prima e “La Rivoluzione Liberale” poi, era riuscito a creare un “noi” rinnovantesi continuamente dal basso.
Dopo la fondazione, il Centro è stato spazio aperto per i movimenti giovanili e del dissenso, nonché luogo di azione culturale e di riflessione sulla contrapposizione insanabile tra fascismo e antifascismo, i rapporti problematici tra etica e politica, il futuro incerto, e mai assicurato una volta per tutte, della democrazia e della pace. La casa di Piero e Ada si pone e si propone come una sorta di “centro civico sociale” inserito nella sua città e come uno spazio di dialogo dove potersi interrogare sui grandi temi del nostro tempo. La disposizione al dialogo è la prova del riconoscimento dell’altro come persona: “L’etica del dialogo si contrappone diametralmente all’etica della potenza. Comprensione contro sopraffazione. Rispetto dell’altro come soggetto contro l’abbassamento dell’altro come oggetto”12.
Se, come penso, ciò che i tempi chiedono è un non più rinviabile cambiamento radicale di mentalità, se è vero come è vero che questa trasformazione riguarda ciascuno di noi, è soprattutto ai giovani che bisogna guardare. Una mentalità civile che consideri il bene “cultura” non come una concessione paternalistica dall’alto, bensì come un diritto e una conquista inalienabili, si costruisce con l’educazione. Rimane vivo l’insegnamento di Gobetti: la “capacità di educare” si sperimenta realisticamente in noi stessi, “educando noi avremo educato gli altri”13.
Ricordo che il libro politico più importante di Piero Gobetti, La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, si conclude con queste parole: “Del resto io non mi attendo dei lettori ma dei collaboratori. E appunto a tutti i collaboratori di Rivoluzione Liberale questo libro è dedicato”14. Ieri come oggi abbiamo bisogno di attori e non di spettatori.
Il giovane Gobetti continua a parlare ai giovani. Ai giovani non bisogna guardare con sfiducia, ad essi bisogna credere come ci credeva Gobetti. Da loro può venire l’impegno per una memoria non congelata nel tempo bensì rinnovata, prolungata, vivificata, una memoria agita che gobettianamente si trasforma in storia del presente.
10. A. Passerin d’Entrèves, Commemorazione di Piero Gobetti, in “Quaderno 2”, a cura di Gianna Jona Germano, Centro studi Piero Gobetti, Torino, giugno 1961, p. 5.
12. N. Bobbio, Il terzo assente. Saggi e discorsi sulla pace e la guerra, a cura di Pietro Polito, Sonda, Milano 1989, p. 163.
13. P. Gobetti, Le risorse dell’eresia, in “La Rivoluzione Liberale”, a. II, n. 24, 28 agosto 1923, p. 98; ora in Id., Scritti politici (1960), a cura di Paolo Spriano, Einaudi, Torino 1997, p. 517.
14. P. Gobetti, La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia. Cappelli, Bologna 1924. Cito dalla nuova edizione a cura di Ersilia Alessandrone Perona con un Profilo di Piero Gobetti di Paolo Spriano, Einaudi, Torino 1983; edizione a cura di E. Alessandrone Perona, con un saggio di Paolo Flores d'Arcais, Einaudi, Torino 1995, p. 177.
Paolo Gobetti nacque a Torino il 28 dicembre 1925, figlio di Piero e Ada Prospero. A soli 50 giorni rimase orfano del padre, morto in esilio a Parigi nel 1926, ma l'educazione della giovane madre valse a imprimergli la radice profonda di un antifascismo non di maniera, nutrito di una costante e coerente tensione morale. La partecipazione alla lotta partigiana, intrapresa non ancora diciottenne all'indomani dell'8 settembre 1943, non fu quindi il frutto di una scelta, ma la logica e naturale conseguenza di tutto il suo pur ancora acerbo percorso d i vita.
Conclusa l'esaltante esperienza della Resistenza, che rimase il centro e il punto di riferimento di tutta la sua esistenza, Paolo Gobetti negli anni grigi del dopoguerra si appassionò al cinema, di cui imboccò come critico cinematografico e come documentarista le strade meno praticate, ma che più profondamente egli sentiva e che rispondevano a una sua concezione del ci- nema e della cultura come impegno profondo e confronto costante. Fu critico cinematografico sulle pagine dell'edizione piemontese de «L'Unità» dal 1948 al 1955, redattore capo di «Cinema Nuovo» dal 1956 al 1958, fondatore e direttore di «Il Nuovo Spettatore Cinematografico» (1959-1963), che fece poi rinascere nel 1980 come «Il Nuovo Spettatore» (e che divenne la rivista dell'Archivio nazionale cinematografico della Resistenza); fu autore, traduttore, curatore di saggi e volumi di cinema. Non va dimenticata anche la passione per la montagna, a cui Paolo prodigò energie fisiche e intellettuali.
A partire dagli anni '50 Paolo Gobetti incominciò a realizzare film documentari, di cui forse vedeva i modelli più alti nell'opera di Flaherty. A quegli anni risalgono alcuni progetti incompiuti su temi naturalistici e alpini.
Nel 1962, nel corso degli scioperi alla Lancia, alla Michelin e alla Fiat, realizza con Carla Gobetti il documentario Scioperi a Torino, un esempio (specialmente nel quadro del cinema italiano), assolutamente nuovo di cinema militante, che ottenne a Este nel 1964 la Medusa d'argento.
Nel 1966 Paolo Gobetti fu tra i fondatori dell'Archivio nazionale cinematografico della Resistenza, nato con lo scopo di salvare non solo le immagini, principalmente documentarie, della e sulla Resistenza, ma anche la memoria di quella stagione, e più in generale dell'antifascismo e della Storia contemporanea, attraverso la raccolta di testimonianze filmate. Negli anni seguenti e fino alla sua morte Paolo Gobetti divenne lo straordinario e originale propulsore dell'attività dell'Archivio, promuovendo la realizzazione di una serie di film, l'intensa raccolta di interviste filmate (ricordiamo in particolare la ricerca sulla guerra di Spagna e poi quelle sul Movimento operaio e sulla Resistenza), l'organizzazione di rassegne e manifestazioni volte a far conoscere e a insegnare a leggere il cinema nelle sue relazioni con la Storia, e la concomitante realizzazione di libri e cataloghi (per esempio tutta la peculia re serie sul cinema italiano anno per anno). L'Archivio fu anche il principale ambito in cui Paolo Gobetti investì con trascinante efficacia il suo impegno di maestro di cinema e storia (e vita...) per tanti giovani, a vario titolo interessati alla Resistenza, alla storia del Movimento operaio, al documentarismo, alla raccolta di testimonianze, al cinema antropologico. Una palestra, nella quale gli interessi e le competenze per le tematiche di cinema e storia dei giovani che Paolo Gobetti raccolse nel corso del tempo intorno a sé si affinarono e si misurarono con la ricerca e la comunicazione, fu senza dubbio costituita dal «Nuovo Spettatore» "seconda serie" che uscì con periodicità non sempre regolarissima dal 1980 al 1996. I primi dieci numeri erano confezionati piuttosto artigianalmente, mentre dall'undicesimo al diciassettesimo (l'ultimo della serie) la rivista si presentò a stampa (edita da Franco Angeli, Milano) e con un suo sobrio ma raffinato aspetto. Scrisse Gobetti nella presentazione del primo numero: «[...] è il luogo di espressione di tutto un gruppo, il collettivo di lavoro dell 'Archivio [... ] uno dei suoi strumenti di lavoro e anche una sua vetrina..» . La concezione del lavoro culturale di Paolo Gobetti come prevalente frutto del confronto e della collaborazione nell'ambito d i un collettivo con orizzonti e obiettivi condivisi si espresse nella rivista in modo particolare (anche se è presente come tratto distintivo un po' in tutte le iniziative che Gobetti promuoveva e coordinava nel suo Archivio).
Tra i film realizzati nell'ambito dell'Archivio possiamo ricordare Lotta partigiana (1975), realizzato con Giuseppe Risso, montaggio di materiale cinematografico d'archivio sulla Resistenza europea, del tutto innovativo rispetto ai precedenti modelli di film di montaggio per l'uso di interviste sonore anziché dell’ anonima e autoritaria voce dello speaker; l'antologia di documenti cinematografici Dalla Marcia su Roma a piazzale Loreto (1975), sempre realizzata insieme a Giuseppe Risso e con l'intento di far conoscere il fenomeno del fascismo dal suo interno, proprio attraverso quei meccanismi di propaganda con cui il regime si autoincensava e cercava di costruire consenso; e poi ancora i cortometraggi Cudine 17 novembre 1944 (1979) e Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori (1980).
Fra le ma nifestazioni si deve almeno richiamare l'ampia retrospettiva sul cinema della Guerra civile spagnola, proposta e organizzata da Paolo Gobetti e dall'Archivio nazionale cinematografico della Resistenza per la Biennale cinema di Venezia del 1976, che portò fra l'altro alla realizzazione di alcuni volumetti sul cinema d'epoca, sui suoi registi, ma anche sui protagonisti di quella pagina chiave della storia europea del Novecento.
Contemporaneamente, a partire dalla metà degli anni '70, Paolo Gobetti lavora intensamente con il video, di cui aveva intuito le nuove potenzialità espressive e documentarie che sperimenterà seguendone passo passo tutte le evoluzioni tecniche e di linguaggio.
Del 1983 è Le prime bande, un lungometraggio di interviste e documenti filmati (realizzati in parte in pellicola e in parte in video) sull'inizio della lotta partigiana, frutto di alcuni anni di lavoro e di paziente ricerca condotta in particolare attraverso le interviste, per mezzo delle quali cercava di restituire l'atmosfera e il senso profondo di ciò che per lui la era stata Resistenza.
Nel 1987 è la volta di un altro lungometraggio di ricerca, questa volta sul piano etnografico e antropologico, La Bahìo - Festa di una valle occitana, realizzato con Paola Olivetti.
Nel 1991 viene concluso un altro progetto, portato avanti per quasi vent'anni con lavoro certosino: una serie di interviste filmate agli amici di Piero Gobetti. Tutto il vastissimo materiale raccolto, affidato per la sintesi e il montaggio a Claudio Cormio, Ernaldo Data, Daniele Gaglianone, Alessandro Amaducci, portò alla realizzazione di tre video: Racconto interrotto, Alla ricerca di Piero Gobetti, La frusta teatrale.
Dal 1992 al 1995 l' impegno di Paolo Gobetti e dell'Archivio nazionale cinematografico della Resistenza si concentra sulla celebrazione del 50° anniversario della Resistenza, vista come un'occasione di autentica e approfondita riflessione e ripensamento di quel momento storico, al di là di ogni tentazione retorica. Nascono così le tre rassegne "Piemonte partigiano", "Il sole sorge ancora" ed "Europa ritrovata", che, accompagnate da volumi e cataloghi, costituiscono una vasta ricognizione su cinquant'anni di cinema resistenziale in Italia e in Europa. Nasce anche un ampio progetto di brevi programmi video volti a delineare, in una sorta di affresco per suoni e per immagini, le vicende e le tematiche più generali della lotta partigiana. Le stagioni della Resistenza in dieci quadri e un prologo è il titolo di quest'ultima impresa, affidata a diversi autori, ma in cui Paolo si riserva una sua ultima parola realizzando il video Rastrellamenti, nell'agosto del 1995, ormai alla vigilia della malattia e della morte, avvenuta a Torino il 25 novembre 1995.
La figura, l'attività, l'opera di Paolo Gobetti sono state in particolare ricordate finora in occasione di uno speciale omaggio dedicatogli nel corso del 17° Torino Film Festival (19-27 novembre 1999), che produsse anche la pubblicazione del volume Paolo Gobetti, cit.
Note:
1 Questa nota biog rafica riprende, con vari ritocchi e integrazioni, quella pubblicata nel volume a cura di Umberto Mosca, Paola Olivetti, Gianni Rondolino, Paolo Gobetti, Lindau, Torino, 1999, edito in occasione della diciassettesima edizione del Torino Film Festival.
2 Cfr. Ricompare «Il Nuovo Spettatore» n e l primo capitolo del prese nte volume.
A cura di Istituto Gramsci
“Città fatta di ordine, di tradizione militare, squadrata negli isolati delle sue case monotone, come un reggimento dei vecchi duchi sabaudi”. Così Gramsci descrive Torino qualche anno dopo il suo arrivo, nell’autunno del 1911, per sostenere le prove d’esame per le borse di studio del Real Collegio Carlo Alberto; vi rimarrà fino al maggio del 1922, quando partirà per Mosca. Trascorre molto tempo all’Università, dove frequenta le lezioni di letteratura italiana di Umberto Cosmo e di glottologia di Matteo Bartoli, del quale diviene l’allievo prediletto. Entra in contatto con Angelo Tasca, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini e con loro formerà la redazione dell’Ordine Nuovo. Dedica molta attenzione al cinema e al teatro e frequenta con assiduità il Teatro Carignano e le altre sale del centro; scrive sul settimanale “Il grido del popolo” e sulle pagine torinesi dell’”Avanti!” La città di Gramsci. Avvenimenti, incontri, luoghi della memoria, propone un percorso che comprende i luoghi della cultura in cui si è formato l’intellettuale sardo: l’università, le sale cinematografiche e i teatri, le redazioni dei giornali cui collaborò, le sedi della sua formazione e militanza politica.
I testi sono tratti da: F, Scalambrino, Un uomo sotto la mole. Biografia di Antonio Gramsci, Il punto, Torino, 1998
A cura di ISMEL
L’itinerario ricostruisce la lunga parabola della città industriale. Una narrazione ad ampio raggio, costruita mediante l’intreccio di fonti e documenti diversificati, che conduce nel cuore dei luoghi della produzione e della socialità che hanno segnato il volto della Torino del Novecento. Fabbriche e barriere operaie costituiscono le principali attrattive del percorso che si snoda in diversi quartieri della città, evidenziandone il suo pluralismo produttivo. L’itinerario parte da Borgo Dora, risalendo il corso del Canale dei Molassi, lungo il quale sorgono i primi edifici dell’industria cittadina (mulini, concerie e lavorazione della seta) per concludersi in corso Regio Parco. Si prevede una visita all’Arsenale Militare (oggi sede del Sermig), al sito della ex Fiat Grandi Motori e alle vicine abitazioni operaie, all’ex ITALGAS (oggi sede del nuovo Campus Luigi Einaudi), al Maglificio Calzificio Torinese, oggi Basic Net e alla Manifattura Tabacchi. Insieme alla fabbrica sarà visitato anche il Borgo Regio Parco, tipico esempio di barriera operaia di primo Novecento.
A cura di Centro Studi Gobetti e in collaborazione con CulturalWay
Un tour nella città di Piero e Ada Gobetti, tra cultura e società. Da ex capitale sabauda a grande centro industriale, la Torino degli anni ‘20 e ’30 – con i suoi caffè, i suoi teatri, e le sue piazze – fa da sfondo alla vicenda intellettuale di uno dei più importanti protagonisti del secolo scorso. Ieri e oggi, tra vie in costante trasformazione urbanistica e architettonica, passando da casa Gobetti fino al nuovo Polo del ‘900.
Da ex capitale sabauda a grande centro industriale, la Torino degli anni ‘20 e ’30 – con i suoi caffè, i suoi teatri, e le sue piazze – fa da sfondo alla vicenda intellettuale di uno dei più importanti protagonisti del secolo scorso. Il tour farà rivivere le atmosfere della Torino di Piero e Ada Gobetti: le stratificazioni architettoniche rivelano i cambiamenti politici del secolo scorso, i caffè, i teatri e le piazze ne raccontano la cultura e la socialità. Da piazza CLN e piazza Castello, dal caffè San Carlo al teatro Carignano, da Casa Gobetti fino al nuovo Polo del ‘900, si incontrano i volti e le storie di grandi personaggi e l’importanza della loro eredità per comprendere le dinamiche del mondo contemporaneo.
A cura del Museo Diffuso della Resistenza e dell'Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza
Si tratta di un percorso guidato a piedi che attraverso spiegazioni e letture di testimonianze avvicina gli studenti alla storia dei luoghi e delle persone che li hanno vissuti.
I percorsi nei luoghi di memoria sono un invito alla riscoperta di un pezzo fondamentale della storia della città in cui si vive, al quale è legata la sua identità civile: i luoghi della lotta clandestina contro l’occupazione nazifascista, quelli della deportazione nei Lager e quelli della vita quotidiana durante la guerra. Questi siti diventano così tappe di un percorso museale all’aperto e fanno emergere frammenti di storia racchiusi nella città per offrirli anche a coloro che, per età e provenienza, non ne hanno memoria.
A cura del Museo Diffuso della Resistenza e dell'Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza
Si tratta di un percorso guidato a piedi che attraverso spiegazioni e letture di testimonianze avvicina gli studenti alla storia dei luoghi e delle persone che li hanno vissuti.
I percorsi nei luoghi di memoria sono un invito alla riscoperta di un pezzo fondamentale della storia della città in cui si vive, al quale è legata la sua identità civile: i luoghi della lotta clandestina contro l’occupazione nazifascista, quelli della deportazione nei Lager e quelli della vita quotidiana durante la guerra. Questi siti diventano così tappe di un percorso museale all’aperto e fanno emergere frammenti di storia racchiusi nella città per offrirli anche a coloro che, per età e provenienza, non ne hanno memoria.
Per cogliere la presenza ebraica a Torino sin dalle sue radici, per approfondire i temi dell’occupazione nazista e della deportazione, il percorso in oggetto si snoda tra Piazza Carlina, zona dell’ex ghetto ebraico, smantellato dopo l’Emancipazione del 1848, la Sinagoga e la stazione di Porta Nuova, luogo di partenza dei treni dei deportati.
A cura del Museo Diffuso della Resistenza e dell'Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza
Si tratta di un percorso guidato a piedi che attraverso spiegazioni e letture di testimonianze avvicina gli studenti alla storia dei luoghi e delle persone cheli hanno vissuti. L’operatore museale fornirà informazioni storiche sui bombardamenti e sul luogo specifico, proponendo, con l’ausilio di fotografie d’epoca, un confronto diretto tra i danni di guerra e la ricostruzione. Accanto ai dati storici, verranno letti brani di fonti e di testimonianze dell’epoca.
I percorsi nei luoghi della memoria sono un invito alla riscoperta di un pezzo fondamentale della storia della città in cui si vive e del legame con la sua identità civile: i luoghi della lotta clandestina contro l'occupazione nazifascista, quelli della deportazione nei Lager e quelli della vita quotidiana durante la guerra, ai quali si aggiungono anche quelli legati ai bombardamenti e ai danni di guerra. Questi siti diventano così tappe di un percorso museale all'aperto e fanno emergere frammenti di storia racchiusi nella città per offrirli anche a coloro che, per età e provenienza, non ne hanno memoria.
Nello specifico, questo percorso nel centro di Torino, propone agli studenti la riscoperta della storia e della memoria dei bombardamenti che colpirono la città durante la Seconda guerra mondiale. Le diverse tappe che lo compongono esemplificano le varie tipologie di danni subiti dal tessuto urbano e le differenti soluzioni messe in atto durante la ricostruzione postbellica.